Vandalizzato il cartello “vietato fa l’omm ‘e merd”

Introduzione

Era diventato un simbolo. Un pezzo di carta, scritto a mano, affisso nel luogo dove Gaia Caputo è stata brutalmente picchiata dal suo ex. Il messaggio, semplice ma potentissimo: “Vietato fa l’omm e merd”. Un urlo popolare contro la violenza maschile, un gesto collettivo che aveva scosso le coscienze. Ma ora quel cartello non c’è più: è stato strappato, distrutto da ignoti. E il gesto, in tutta la sua vigliaccheria, parla forte. Forse anche più della violenza stessa.

Il vandalismo al Belvedere di Pozzuoli

Il cartello era lì, affisso su una ringhiera del belvedere di via Napoli, proprio dove Gaia è stata aggredita. Un punto panoramico che per giorni è diventato luogo di memoria e denuncia. Ma qualcuno, nel silenzio della notte, ha pensato bene di eliminarlo. Di cancellare quel messaggio, di togliere voce a chi aveva osato parlare.

Non si conosce il responsabile, ma il messaggio è chiaro: per alcuni, anche la protesta pacifica e simbolica contro la violenza è un fastidio. Una verità scomoda da strappare via.

Perché quel gesto è un segnale pericoloso

C’è qualcosa di profondamente inquietante in questa vicenda. Non è solo un foglio strappato. È l’ennesimo tentativo di silenziare le donne. Di ridurre a nulla ogni segno di ribellione. Quel cartello, con il suo linguaggio diretto e popolare, aveva rotto un tabù: aveva chiamato le cose col loro nome. E proprio per questo è stato rimosso.

Non è stato un atto casuale. È stata una risposta violenta a un gesto di resistenza. E come tale va letta.

Quando la memoria fa paura

Il cartello per Gaia non era un semplice messaggio: era diventato memoria collettiva. Un modo per non dimenticare, per dire che Gaia – e con lei tante altre – non era sola. La sua rimozione è un tentativo (fallito) di riportare tutto nel silenzio, nella dimenticanza. Di tornare a far finta che la violenza sulle donne sia un problema privato, un fatto da chiudere tra le mura di casa.

Ma c’è una verità scomoda: la memoria fa paura. Soprattutto a chi non vuole cambiare nulla.

La risposta deve essere più forte

Ora più che mai, la risposta deve essere collettiva. Il cartello può essere strappato. Ma il messaggio no. Quello va riscritto, moltiplicato, condiviso. Serve una presenza continua, attiva, indignata. Perché se anche un foglio fa paura, significa che era giusto. Che stava toccando il nervo scoperto di una società ancora troppo complice.

Conclusione

Chi ha distrutto il cartello non ha solo strappato un foglio. Ha cercato di spegnere una voce. Ma Gaia non sarà silenziata. E nemmeno tutte le donne che, come lei, hanno subito, denunciato, resistito. Per ogni cartello strappato, ne sorgeranno dieci. Per ogni tentativo di censura, una voce in più si alzerà. Perché non si torna indietro. Non più.